OK, il prezzo non è giusto

dall'espresso del 1 marzo 2001

 ADRIANO CELENTANO VALE QUANTO JENNIFER LOPEZ, FIO­RELLA MANNOIA COME GLI U2, I
Beatles quanto Lenny Kravitz. Almeno stando ai prezzi di copertina dei loro compact disc, tutti presenti fra i più venduti di queste settimane. La differenza frai diversi artisti, generi musicali e pro­duttori, nei dischi da alta classifica è infatti compressa in poco più di 2 mila li­re: dalle 37.500 lire dei più economici al­le 39.900 lire di quelli cari.
Un De Chirico può essere su tela come un Picasso, ma il suo valore è diverso. Nella musica c’è puzza di monopolio. di cartelli per difendere la posizione dominante delle major. Contro le quali si sono scatenati i siti Internet, come Napster, che permettono di scaricare musica gratis dal Web, ma anche le Autorità antitrust. Negli Stati Uniti, nell’Unione europea, in Italia.
L’esistenza di intese di cartello per mantenere elevati i prezzi è più di un sospetto. Anzi, per la Federal Trade Commission (Ftc), l’agenzia federale Usa che regola i commerci, è una certezza. La Ftc ha calcolato in 500 milioni di dollari il costo aggiuntivo sostenutodai consumatori fra il 1997 e il 2000 a causa di un accordo stretto dalle cinque major che control­lano l’85 per cento del mercato discografico americano e mondiale. Sul banco degli imputati Emi, Time Warner, Sony, Bertelsmann e Universal. Nei primi anni Novanta, negli Stati Uniti i prezzi erano crollati, grazie soprattutto alle catene hard discount: a fronte di una media per cd di 14 dollari, i supermercati della musica di una catena come Circuit City vendevano le nuove uscite a 8,95 dollari.
Le major sottoscrissero un accordo in base al quale i negozi tenevano alti i prezzi, in cambio di fondi per la pubblicità. I prezzi tornarono a salire, arrivando a sfiorare in media i 17 dollari. L’indagine della Ftc si è chiusa con una mediazione, l’impegno delle case discografiche a sospendere queste pratiche per sette anni, mentre una coalizione formata da 28 Stati americani ha dato il via a una causa legale chiedendo danni per milioni di dollari. I consumatori, intanto, hanno già ottenuto una vittoria parziale, almeno a giudicare dai prezzi dei cd delle due reginette del pop: “J.Lo”, ultimo album di Jennifer Lopez, viene venduto a 13,28 dollari, “Oops! I did it again” di Britney Spears a 14,99 dollari.
PRIMA ANCORA DELLA FTC AMERICANA, si era mosso l’Antitrust italia­no. Nel ‘97, l’Autorità, allora pre­sieduta da Giuliano Amato, ave­va accusato le major di falsare la concorrenza e aveva inflitto loro multe per un totale di 7,6 miliardi, confermate nel novembre scorso dal Consiglio di Stato. Forse, proprio il caso italiano ha contribuito a sollecitare l’attenzione del com­missario europeo Mario Monti, che a sua volta indaga per scoprire eventuali accordi sui prezzi. Anche se si muove su un terreno impervio, con le major ormai allertate, Monti ha il tempo dalla propria parte, dato che non ha una scadenza. La speranza èche un’indagine europea producaeffetti più tan­gibili di quelli visti in Italia. Le multe dell’Antitrust non hanno infatti inciso sui prezzi, a dispetto del tentativo di alcuni artisti, come i rapper napoletani 99 Posse, di lanciare i cd più a buon mercato. Gli operatori accusano le major di non aver cambiato la sostanza delle pratiche incriminate. Nel ‘97, l’Antitrust aveva puntato il dito su diversi fattori: lo stesso prezzo (20 mila lire) praticato ai rivenditon per tutte le hit, il contributo fisso per la promozione (3 mila lire), chiamato ticket­tv, e quello del 6 per cento per il trasporto.
Oggi ai rivenditori i cd da classifica costano fra le 26 mila e le 28 mila lire. «Le case non espongono più separatamente il ticket tv, ma lo hanno incorporato nel prezzo praticato al negoziante», sostiene Arnaldo Albini Colombo, presidente di Vendomusica, l’associazione di rivenditori che aveva dato il via all’indagine Antitrust. Anche il contributo per il trasporto non è scomparso, ma è stato limato dal 6 al 4 per cento dalla sola Universai e al 5 dalla Warner. «La reale incidenza del costo di trasporto è di circa il 2 per cento»> aggiunge Albini, preoccupato dai forti sconti che le grandi catene di negozi praticano a proprie spese su album di grande richiamo: «Se trovo cd di fascia alta sottocosto, significa che altri prodotti vengono venduti a prezzi superiori».

Dieci, cento, mille Napster
CASE DISCOGRAFICHE ALL’ATTACCO. MA L’HACKER É IMPRENDIBILE

C'è ancora vita per la musica gratis su Internet. La condanna di Napster da parte della Corte d’appello di San Francisco, che ha stabilito la violazione el copyright e l’illegalità della condivisione gratuita di file musicali, ha disorientato i 57 milioni di frequentatori del sito. I più pronti si sono però organizzati per trovare alternative, soprattutto dopo che Shawn Fanning, il 21enne inventore di Napster, si è accordato con Bertelsmann per distribuire musica a pagamento. Sprofondando tra le scartoffie degli avvocati la magia del sito e della “musica libera per tutti”. Per gli hacker nostrani la ricerca di nuove frontiere inizia ancora con un tributo a Napster: «È nato come motore di ricerca per condividere file tra amici. Poi è diventato un gigantesco strumento di comunità», racconta un hacker romano, nome di battaglia Ranieri, da una vita contro il copyright. Dall’evocazione alla realtà, il risveglio é brusco:
«Nessun equivoco: si pagheranno i download da Napster, ma i prezzi dei cd non scenderanno». Ma non tutto è perduto:
«Non esiste un modo per bloccare la diffusione gratuita della musica su Internet. Ora il testimone passa a Gnutella, un sito modello Napster d’origine italiana. Ma presto incastreranno anche quello», continua Ranieri: «I siti pirata sono pronti a riempire il vuoto. E si potranno scaricare cd interi e non singoli brani come su Napster. Basterà masterizzarli e il gioco sarà fatto». Come si arriva sui siti pirata? «Basta digitare “Mp3’Z” su Shawn Fanning un motore di ricerca. Il suffisso “Z” indica i materiali crackati, gratuiti». Scegliamo: www.italia.ms/musica2000/mp3.html. I sottomenù ci spediscono su siti italiani e internazionali. Ma i pirati resisteranno all’attacco delle majors? «Non riescono a prenderli. Affittano server in posti dove i controlli non sono efficaci». lì visitatore non se ne rende conto perché l’indirizzo resta lo stesso, ma I’hacker che governa l’archivio lo sposta di continuo da un luogo all’altro». E il sistema del diritto d’autore sembra impreparato a reggere l’urto delle nuove tecnologie. «Adesso toccherà ai Dvd». L’incubo delle majors è solo all’inizio.

Stefano Pistolini

     QUELLA DEI PREZZI É SOLO UNA DELLE barricate che le major hanno alzato in difesa del loro oligopolio. Le altre riguardano Internet, dove le major hanno tentato di disinnescare situazioni esplosive come Napster, entrata nell’orbita del gruppo tedesco Bertelsmann, o Mp3.com, società californiana di musica online nel cui capitale è entrata la Universal. Inoltre hanno lavorato per dare il volto definitivo alla direttiva europea che rafforza la difesa del copyright sul Web. Alcuni ritengono però che tutti questi sforzi non basteranno, e che la facilità di trasferire file musicali renda dirompenti gli effetti della rivoluzione. «Il controllo del vecchio mercato era più semplice, mentre oggi i giovani non comprano più dischi e il grosso della musica sfugge alle major», sostiene Marco Conforti, titolare della Casi Umani, società che rappresenta le etichette di artisti come Elio e le Storie Tese, Neffa e i Sottotono. «A sfide come Napster; le case discografiche hanno risposto alla vecchia maniera, cioè comprandosele, ma ormai la difesa dei produttori non passa più per la protezione esclusiva del copyright», continua il manager. Non vuole essere un’ode al pirataggio, ma un’analisi economica attenta al diverso ruolo dei cantanti:
«Cinque anni fa, 1130 per cento dei proventi di un artista arrivava dai dischi, mentre oggi siamo scesi al 10 per cento», spiega Conforti. I nuovi mezzi hanno cambiato il modo di fare e ascoltare musica, sempre più autoprodotta via computer da chi una volta si limitava ad ascoltarla, nonché facilmente trasferibile via Web, con sistemi sempre nuovi capaci di eludere ogni controllo. Le major sono avvertite, e il palazzo della musica tenterà di soffocare le novità. Ma nei suoi sottoscala cova la rivolta.

ha collaborato Patrick Di Maio


All’utile teorico della casa discografica vanno sottratti la produzione artistica (studio, musicisti e materiale discografico: dal 150 milioni a 1,5 miliardi) e soprattutto il marketing e la promozione
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