Dossier su una battaglia nonviolenta
a cura del Partito Radicale-Arpa, 50129 Firenze, via Cavour 68, tel.055/2302266-290606,
fax 2302452. Email arpa.fi@agora.stm.it
edito in Firenze nel febbraio 1997 a cura di Carlo Valdisalici, e con l'aiuto
di Marco Bazzichi, Giusi Nibbi, Donatella Poretti, Roberto Rogai, coordinati
da Vincenzo Donvito
Premessa LIBERTA' AL TIBET
Tibet. Paese millenario perso sull'altipiano himalaiano. Cancellato dalle
nostre memorie, dalle nostre conoscenze, dalle nostre coscienze da quarant'anni
di bipolarismo politico e militare.
Tibet. Paese singolare. Paese del buddhismo, dei monaci, dei monasteri, dei
mulini di preghiera, degli Yak, del the' al burro, dell'uomo delle nevi. Paese
del Dalai Lama. Gia' Paese indipendente. Gia'. Nel silenzio complice delle
Nazioni Unite, delle democrazie occidentali, del mondo libero, il Tibet fu,
un giorno del non lontano 1950, invaso dalle forze armate dell'allora neo
Repubblica Popolare Cinese. Poi fu occupato, ristrutturato, modernizzato.
Distrutto. Come furono distrutti centinaia e centinaia di monasteri con la
cosiddetta rivoluzione culturale cinese. A decine di migliaia, donne furono
sterilizzate o obbligate ad abortire. A milioni, Tibetani furono arrestati,
incarcerati, torturati, deportati. Un milione di loro fu ammazzato. Foreste,
monumenti, case furono rase al suolo.
Ma non bastava ancora. Bisogna andare oltre nell'esplorazione dell'arsenale
delle armi di distruzione di un popolo, della sua storia, della sua cultura,
della sua lingua, della sua religione, del suo modo di vivere. E i cinesi
inventarono una nuova soluzione finale: la "pulizia etnica" per
diluizione. E comincio' la pianificazione e poi l'attuazione di un gigantesco
trasferimento di popolazione: milioni di cinesi furono con la forza, con le
intimidazioni o con forti incentivi finanziari "traslocati" nel
Tibet. Da alcune migliaia a sette milioni, da infima minoranza a maggioranza
oggi. Obiettivo: 40 milioni nel 2020. Allora il Tibet sara' definitivamente
scomparso.
Il tempo stringe. Occorre fermare fin quando c'e' ancora tempo questo genocidio
silenzioso. Occorre salvare il Tibet, i Tibetani, il tesoro di storia, di
cultura, di mitezza, di convivenza civile che hanno saputo dare all'umanita'.
Occorre fermare nella sua impresa di morte e di distruzione l'ultimo impero
totalitario. Occorre, anche a partire dal Tibet, dalla sua liberta' e dalla
sua liberazione, creare le premesse per la liberta' e la liberazione dal totalitarismo
comunista degli oltre un miliardo e duecento milioni di cinesi.
E, mentre sempre piu' spesso nel mondo si ricorre alla violenza per far valere
le ragioni di un popolo o di criminali che pretendono incarnarne le ragioni,
occorre fare tesoro ed erigere ad esempio per l'intera umanita' la resistenza
nonviolenta esemplare del popolo tibetano e della sua leadership, a cominciare
dal Dalai Lama.
Occorre agire. Dalle piazze, dai marciapiedi delle ambasciate cinesi del mondo
intero con manifestazioni, Satyagraha, digiuni nonviolenti di massa. Dalle
Nazioni Unite con la messa all'ordine del giorno di una rapida decolonizzazione
del Tibet. Dai Parlamenti con la presentazione di mozioni che, sul modello
delle risoluzioni del Parlamento europeo e del Congresso americano, condannino
l'invasione e l'occupazione del Tibet. Dai Comuni con la decisione di far
sventolare la bandiera tibetana il 10 marzo 1996, giorno dell'anniversario
dell'insurrezione nonviolenta di Lhasa del 1959, perche' divenga, ovunque
nel mondo, giorno di azione e di speranza concreta di liberazione dei Tibetani
e quindi dei cinesi e di tutti noi. Occorre quindi lavorare ed organizzarci,
senza perdere un minuto. Da subito. In diretto collegamento con le massime
autorita' del governo e del parlamento tibetano in esilio, il Partito Radicale,
transnazionale e transpartito, ci sta lavorando. Senza nuove energie umane
e finanziarie, tutto sara' molto difficile, se non impossibile.
Chi ci sta, batta un colpo.
di Olivier DUPUIS
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